Storia dell'aperitivo: un rituale tutto italiano
di Chiara Di Paola
Storie | Del 29/11/2024 |
Aperire, stuzzicare, bere. Dal banchetto romano all’happy hour e all’apericena contemporaneo. Esploriamo abitudini senza tempo, passando per la cultura medievale degli amari capaci di “aprire lo stomaco” e per la tradizione piemontese della Merenda sinoira o quella veneziana dei cicchetti, fino all’usanza milanese di bere e mangiare qualcosa in un contesto poco impegnativo prima di proseguire la serata. Questo è l’aperitivo, un rituale tutto italiano che oggi è diventato un’icona del "bien vivre" tricolore.
Aperitivo, momento relax e socialità
L’aperitivo non è un drink o un format di ristorazione: piuttosto si tratta di una declinazione tutta italiana del concetto di convivialità, che prescinde dall’essere seduti attorno a un tavolo e da una sequenza prestabilita di portate incluse in un menù. È un momento per rilassarsi e socializzare mentre si beve un drink con l’accompagnamento di qualche stuzzichino. Ma per quanto possa apparire “casual chic” e coerente con la frenetica vita contemporanea, questo rituale è molto più longevo e le sue origini vanno ricercate secoli fa.
Stuzzicare l’appetito, un’abitudine senza tempo
Il termine “aperitivo” deriva dal verbo latino “aperire”, cioè “aprire” (lo stomaco). Già nell’antica Roma, per stimolare l’appetito degli ospiti prima dei banchetti veniva servita una bevanda amara, ispirata al Vinum hippocraticum (o Vinum Absynthium), un arcaico “cocktail” a base di vino bianco, miele e spezie, elaborato nel V secolo a.C. dal greco Ippocrate (il primo medico della Storia) per alleviare i disturbi di digestione nei suoi pazienti. La stessa concezione quasi “medicamentosa” dell’aperitivo si ritrova nel Medioevo, quando i monaci approfondirono la farmacologia erboristica e migliorarono la tecnica della distillazione, producendo amari e liquori all’epoca pensati come veri e propri farmaci.
Apologia dell’Amaro
Generalmente considerato l’“età buia” della Storia, il Medioevo è stato in realtà un periodo ricco di scoperte, anche nell’ambito della gastronomia e della farmacopea (o “alchimia”). Una delle più interessanti riguarda la capacità delle bevande amare di provocare l’appetito. E se nel XVI secolo per ottenere lo scopo si utilizzavano ancora i cosiddetti “vini galenici” elaborati da speziali, farmacisti e liquoristi, solo fra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si giunse a un uso voluttuario di queste bevande. Nacquero così i primi Bitter, contenenti percentuali zuccherine superiori rispetto agli antichi rosoli e colorati di tinte sgargianti per sollecitare la vista. In seguito, grazie alle scoperte geografiche che portarono in Europa sempre più spezie, si cominciarono a sperimentare le prime ricette di vino aromatizzato, trasformato da rimedio farmaceutico a bevanda piacevole pensata per la convivialità.
Dalla merenda della sera all’Ora del Vermouth
Secondo alcuni le origini dell’aperitivo all’italiana andrebbero ricercate in Piemonte, in particolare nell’usanza dei vendemmiatori di prendersi una pausa nel pomeriggio, per consumare la cosiddetta Merenda sinoira (“merenda della sera”), a base di un calice di vino accompagnato da salumi, formaggi e frittate. Una tradizione che nel XVIII secolo fu adottata anche dalla borghesia di Torino e di altre città piemontesi, dando origine all’Ora del Vermouth: un momento di socialità trascorso nei bar sorseggiando la bevanda a base di vino Moscato di Canelli miscelato con erbe e spezie - ideata nel 1786 dall’erborista torinese Antonio Benedetto Carpano -, accompagnata da assaggini dolci e salati.
Mi-To: dal Martini Rosso al Campari
A far esplodere il “fenomeno Vermouth” e la moda dell’aperitivo hanno contribuito due amici torinesi, il liquorista ed enologo Luigi Rossi e l’imprenditore Alessandro Martini, che nel 1863 hanno creato il Martini Rosso, divenuto presto un’icona del buon bere tricolore anche all’estero. Nel frattempo, a Milano la cultura dell’aperitivo prosegue con la nascita nel 1815 dell’Amaro Ramazzotti, il primo liquore italiano a non avere il vino come base: viene ricavato dalla macerazione di almeno trentatré varietà tra erbe, spezie e radici secondo la ricetta di Ausano Ramazzotti, farmacista bolognese trasferitosi nel capoluogo lombardo all’inizio del secolo. Sempre a Milano, nel 1860, Gaspare Campari crea il celebre “Bitter Campari Red Passion”, un liquido rosso rubino che, dal Caffè tuttora esistente in Galleria Vittorio Emanuele, diventerà il più celebre degli aperitivi italiani nel mondo.
Lo spritz e il ricco aperitivo alla veneziana
Anche la nascita dello Spritz si colloca all’inizio dell’Ottocento, quando il territorio veneto ricadeva sotto il dominio degli Asburgo i quali, non sopportando la gradazione alcolica del vino veneto, iniziarono ad allungarlo (o “spruzzarlo”) con acqua frizzante. In origine si trattava di un cocktail bianco, a cui solo nel 1919, per merito dei fratelli Barbieri di Bassano del Grappa, si aggiunse la versione arancione dal retrogusto amaro, nota come Aperol e divenuta icona dell’Aperitivo veneziano, tradizionalmente accompagnato dai piccoli assaggi della cucina regionale detti cicchetti.
Il fascino d’oltreoceano nella miscelazione pre-dinner
Tra le due guerre mondiali, lo stile di bevuta italiana ed europea è stato profondamente influenzato dalla moda statunitense di consumare prima di cena cocktail con due o più ingredienti, tra cui gin o whiskey in aggiunta ai tradizionali Vermouth e bitter (che peraltro si trovano finalmente riuniti nel cocktail Americano). Il risultato è stato l’avvento di un’arte della miscelazione (mixology) più complessa e ricercata, capace di proporre alternative accattivanti al vino (soprattutto spumante e champagne, spesso prodotti dalle stesse Case di Vermouth), che proprio in quegli anni stava vivendo il suo periodo d’oro.
Negli anni Cinquanta, in particolare, grazie al ritrovato benessere economico e al moltiplicarsi delle occasioni di trascorrere tempo fuori casa (magari per recarsi al cinema o a teatro), l’aperitivo diventa un rituale accessibile, pensato per prendersi una pausa quotidiana da una vita divenuta più frenetica.
Milano nuova capitale dell’aperitivo
Forte della tradizione inaugurata a metà dell’Ottocento con il Caffè Ramazzotti e il Caffè Campari (raddoppiato nel 1915 con il Camparino) a pochi passi dal Duomo, il capoluogo lombardo consolida il suo ruolo di palcoscenico dell’aperitivo negli anni Sessanta, con la nascita del Bar Basso di Mirko Stocchetto (inventore del Negroni Sbagliato) e del Jamaica di Via Brera (frequentato da artisti che hanno fatto la storia meneghina del ventesimo secolo), fino a diventare la “Milano da Bere” degli anni Ottanta, dove l’aperitivo diviene l’emblema di uno stile di vita votata al divertimento e all’immersione nel fermento della città.
L’avvento dell’apericena e la mania dell’“ora felice”
Nel tempo il classico aperitivo ha visto uno sbilanciamento tra centralità del drink e offerta food. Il ruolo crescente assegnato a quest’ultima lo ha trasformato da preludio della cena a surrogato della cena stessa con la formula dell’“apericena”: un format ideato nei primi anni Novanta da Vinicio Valdo, che per primo nei suoi locali iniziò a offrire un vero e proprio buffet incluso nel prezzo del drink. Nasce così l’“Aperitivo alla milanese”, che si ispira all’happy hour anglosassone e snatura il concetto originale dell’aperitivo, portando spesso a privilegiare la quantità piuttosto che la qualità del cibo e delle bevande.
Ritorno alle origini dell’Aperitivo: qualità vs quantità
Per fortuna dal 2015 la tendenza è stata invertita e sempre più locali hanno abbandonato la formula del buffet a favore di una selezione di assaggi più ristretta, pensata per valorizzare la bevanda scelta dal cliente. L’aperitivo sta così riconquistando il suo ruolo storico e culturale nell’ambito delle tradizioni del Bel Paese, ribadito nel 2022 dalla pubblicazione del primo Manifesto dell’Aperitivo (un decalogo che disciplina e codifica le regole base di questo rito tutto italiano che deve essere tutelato anche grazie alla valorizzazione dell’abbinamento con cibo di qualità), e dall’inaugurazione del World Aperitivo Day, la giornata mondiale dell’Aperitivo, che si celebra ogni anno il 26 maggio.
Insomma, oggi l’aperitivo ha ripreso il suo ruolo di “rituale sociale”, diventando una pillola di quotidianità pensata per la condivisione, il relax, ma anche la valorizzazione di ciò che l’Italia ha da offrire, sia sul fronte del cibo tradizionale sia per quanto riguarda il buon bere, fra tradizioni e novità.
In pillole
Oggi è un’esperienza di stile e un rito che celebra la convivialità e mette in luce l’eccellenza italiana del buon bere e del buon cibo. L’aperitivo ha attraversato secoli e tradizioni, fra amari medievali, merende serali, vermouth, cicchetti e apericene. Da Milano a Torino e oltre.