Katsu Nakaji, Maestro del sushi edomae: da Tokyo a Milano per custodire la tradizione giapponese
di Gaia Soleri
Storie e Interviste | Del 30/08/2025 |

La maestria del sushi svelata dallo shokunin Katsu Nakaji, proprietario dello storico ristorante Hatsunezushi di Tokyo. In questa intervista, lo chef giapponese rivela la sua dedizione assoluta nel preservare la tradizione del sushi edomae. Approdato in Italia da Hatsune Ronin con un nuovo ambizioso progetto, Nakaji ha di fatto creato un luogo di eccellenza e di cultura per l’omakase sushi a Milano. Guidando i suoi discepoli prescelti, il Maestro apre una finestra su secoli di tradizione, dove ogni nigiri diventa una lezione di precisione, rispetto e fiducia.
Intervista a Katsu Nakaji, shokunin e titolare dello storico ristorante Hatsunezushi di Tokyo
Com’è il suo menu omakase da Hatsunezushi?
Il mio menu segue lo stile edomae sushi, preparato ogni giorno con ingredienti freschissimi e di stagione. Da Hatsunezushi offriamo sushi con varietà di crostacei e pesce, in particolare una selezione speciale di tonno in tutte le sue parti: maguro, akami, chutoro, otoro. Il mio ristorante ha una lunga tradizione di 130 anni e la storia del sushi ha origini oltre tremila anni fa. Noi portiamo avanti questa tradizione con orgoglio, lavorando il pesce fresco e fermentando, adattandoci alle nuove condizioni del pescato di oggi.
Il suo modo di fare omakase a Milano è diverso da quello di Tokyo?
Come prima cosa tengo a sottolineare un punto fondamentale in comune: in entrambe le città portiamo avanti un progetto formativo per dare ai giovani l’opportunità di esprimere la loro arte culinaria. La grande differenza fra Milano e Tokyo sta nella materia prima, quindi non tutto è replicabile. Tuttavia, da Hatsune Ronin Milano siamo sempre in grado di offrire un percorso omakase autentico, reinterpretando il menu tradizionale edomae di Hatsunezushi. Per me è fondamentale tramandare la storia del sushi a ogni cliente.
Nel passaggio Tokyo–Milano ha dovuto rinunciare a un ingrediente prezioso?
Premettendo che sto ancora esplorando i prodotti italiani ed europei, posso dire che la varietà di molluschi che abbiamo in Giappone non è comparabile con quella disponibile in Italia.
Qual è la sua stagione preferita?
Dal punto di vista culinario, l’autunno. Adoro le castagne arrostite e i baracchini che le vendono. È anche la stagione migliore per i pesci: in autunno, la ricciola (hamachi) si arricchisce di grasso e il dentice (tai) diventa più saporito perché mangia piccoli crostacei. L’autunno è una bella stagione di trasformazione, in cui i pesci cambiano colore e dimensioni.
Il tonno rosso, il re del sushi, è davvero insostituibile?
L’unicità del tonno sta nella resa della sua carne: grazie alle imponenti dimensioni, offre prelibati bocconi diversi per grassezza e consistenza. Vero è che il tonno appartiene alla famiglia dello sgombro (palamita, bonito, etc), quindi ci sono pesci simili che, volendo, potrebbero sostituire il tonno. La chiave resta la stagionalità per scegliere i prodotti ittici migliori.
Qual è la temperatura ideale per servire il pesce del sushi?
Ancora oggi molti immaginano il pesce del sushi come fresco e freddo da frigorifero. In realtà, il modo migliore per apprezzarlo è a temperatura ambiente: un boccone di sushi (come il nigiri) da trattenere in bocca qualche secondo per gustarlo al meglio. La variazione termica può sublimare la qualità del pesce, come accade con la maturazione delle banane verdi, che a temperatura ambiente rivelano il momento ideale per essere consumate. Non sempre il pesce fresco è garanzia di qualità: anche i pesci, come gli umani, provano stress. Sta a noi artigiani del sushi migliorare la loro qualità, modificandone le condizioni con le nostre tecniche (per esempio la frollatura), per servire il pesce nel suo momento ottimale. Con un semplice menu, accompagniamo i clienti alla scoperta della tradizione del sushi.
Il vegetale nel sushi?
Da Hatsunezushi propongo due menu: TERRA e MARE. Il tema vegetale è meno ricercato nel sushi, ma la stagionalità resta la parola chiave per le verdure (così come per il pesce). In Giappone a primavera utilizziamo il bambù; a Milano con il gari (zenzero in salamoia) proponiamo la radice di fiori di loto. Un dettaglio “verde” nel mio ristorante a Tokyo sono i fiori freschi: due volte a settimana li esponiamo nelle nostre sale per rilassare la vista degli ospiti. È interessante notare che, secondo il nostro credo, un fiore appassito ha assorbito le energie negative della stanza e quindi deve essere sostituito. In Giappone i fiori hanno anche questa funzione benefica.
Qual è la sua missione a Milano con Hatsune Ronin?
Oltre a offrire un percorso omakase autentico in Italia, la nostra prima missione è quella di utilizzare materia prima locale per valorizzare la qualità del territorio. Inoltre, vogliamo trasmettere la tradizione del sushi, ma sappiamo che due ore non bastano a comprendere appieno la cultura culinaria giapponese. Stiamo facendo del nostro meglio per affrontare la barriera linguistica; infatti, i miei allievi prescelti stanno studiando l’italiano per comunicare meglio con i clienti. Fondamentale in questo primo anno è stato il supporto di un host bilingue per spiegare in dettaglio ogni boccone e la provenienza dei pesci.
Quanto conta l’aspetto culturale del sushi?
Moltissimo. La tecnica si apprende dal Maestro, ma la cultura tradizionale del sushi va approfondita personalmente. Consiglio sempre ai miei allievi di ascoltare la sera qualche podcast sull’argomento in dialetto antico di Tokyo, per comprendere meglio le radici storiche. In Giappone, come in Italia, esistono vari dialetti: un Maestro del sushi deve conoscere il dialetto della sua cucina, che sia di Tokyo o di Kyoto. Allo stesso modo, secondo me, un artigiano della pizza dovrebbe saper parlare il dialetto napoletano. È un segno di passione dello chef e di volontà di accoglienza, che permette di far sentire i clienti come a casa.
In che modo trasmette la sua eredità ai discepoli?
Non ho nulla da nascondere, anzi desidero trasmettere il più possibile agli altri. Il motto della mia defunta moglie era “ogni giorno è come una vita, nasciamo la mattina e terminiamo la sera”. Vivo le giornate dando il massimo e cercando di far star bene gli ospiti. Questo è l’esempio e l’insegnamento che trasmetto ai miei discepoli. Come mentore, mi piace proporre sfide su misura, adattandomi alla personalità dei miei allievi, per far emergere le loro qualità e per spronarli a crescere, ovvero a vivere intensamente mettendo il massimo dell’impegno. È come imparare a nuotare: li spingo oltre la comfort zone, così da emergere più forti e consapevoli.
Che tipo di mentore vuole essere?
In giapponese la parola Maestro si traduce con oyakata, che contiene la radice oya, ovvero “parente”. Ecco quindi svelato il significato di mentore: intendo essere come un padre dal punto di vista lavorativo per i miei allievi e insegnare loro tutto quello che posso nel breve termine. Li sprono a osservarmi mentre lavoro, senza replicare i miei gesti: dal mio esempio possono creare una propria arte del sushi – non dimenticando come la popolazione giapponese storicamente ha saputo guardare e replicare. Servono personalità, creatività e capacità di adattamento a passato, presente e futuro.
Il tempo ha un ruolo profondo nella vita e nel sushi: quanto tempo serve per diventare uno chef che sa qual è il momento giusto per ogni cosa?
Domanda difficile. Dipende dalla persona e dal punto di vista. Io stesso non credo di aver raggiunto la perfezione del “momento giusto”. Amo follemente il mio mondo, che considero una forma d’arte, come musica e pittura. Voglio fare una similitudine molto semplice: come osserviamo la maturazione delle banane in due, tre o più giorni, così vediamo crescere i giovani allievi e raggiungere risultati in tre, cinque o dieci anni, a seconda della dedizione.
Da Tokyo a Milano, le parole di Katsu Nakaji tracciano il percorso di una vita dedicata all’arte del sushi: dalla ricerca del nigiri perfetto alla trasmissione della cultura giapponese. Le sue riflessioni mostrano come tempo, disciplina e dedizione trasformino il sushi in un’arte che va oltre il piatto. Per chi cerca un autentico percorso omakase a Milano, Hatsune Ronin è il luogo ideale: due ore di degustazione che raccontano la tradizione culinaria nipponica, fra tecnica, storia e passione.
Per questa intervista, realizzata da Hatsune Ronin Milano, un ringraziamento speciale a Yuto Ogihara per aver tradotto fedelmente in italiano il pensiero del Maestro.
Segnalo infine l’uscita di un documentario sulla vita e sulla carriera dello chef Nakaji, a cura di Travis Matsumoto (Outcrop, Japan), previsto per il 2026.
In pillole
Scopriamo l’arte del sushi edomae dal grande Maestro Nakaji. Una vita di dedizione e disciplina con un’importante eredità da mantenere. Da Tokyo a Milano, un autentico percorso omakase guidato dallo shokunin con i suoi discepoli. Un’esperienza unica dove ogni boccone racchiude la storia del sushi.