The real Matteo Fronduti di Manna
di Gaia Soleri
| Storie e Interviste | Del 08/10/2025 |
Milanese fino al midollo, diretto come una lama affilata e innocuo quanto basta per disarmare ogni formalità. Matteo Fronduti non cucina per piacere a tutti. È un catalizzatore di palati curiosi e allenati. Provoca reazioni di puro piacere, sa accarezzare il palato ma anche scuoterlo. Il suo cuore vi conquisterà. Il patron di Manna propone una vera gastronomia di periferia a Turro-land, onesta e concreta. La sua tecnica abbraccia l’istinto. Ruvido all’apparenza, preciso nella sostanza, lucido nell’intenzione: this is the real Matteo!
Intervista a Matteo Fronduti di Manna, Milano
Da dove nascono le tue ricette?
Dal mio pensiero e dal contributo del mio secondo in cucina, Luciano Passalacqua, che è con me da 15 anni. Quando elaboro un’idea nuova la sottopongo a lui, che è molto intelligente. Ci ascoltiamo a vicenda. All’origine del mio processo creativo ci sono due passaggi: un atto istintivo e un labor limae tecnico per mettere il piatto in carta. Sia chiaro: io non mi alzo la mattina e creo il menu dal nulla, come fanno certi chef.
Sei un cuoco che fa esperimenti in cucina?
Sì, ma chiarisco subito cosa intendo. Mi piace sperimentare quando è la conseguenza della mia curiosità: come sarà questa cosa qui? Provo a farla e vedo come viene. Penso a come è nato il mio riso con la milza. Per me non ha senso il “famolo strano” fine a sé stesso.
Mi spieghi la genesi del riso con la milza maritata?
Non avevo mai mangiato la milza e volevo assaggiarla nel panino come la fanno a Palermo - semplice o maritata. Con Luciano compriamo la milza e la cuciniamo come i milzaroli: non ci convince, ha la cuticola, è brutta, monocorde. Così proviamo a trasformare la milza in un piatto, pensando a un risotto. Facciamo la mortadella di milza e decido di aggiungere un formaggio per farla maritata, come nel panino siciliano: il caciocavallo è perfetto. A questo punto, manca acidità, ma il limone sarebbe banale, allora pensiamo a un elemento del territorio siciliano: il Marsala. Ecco come nel risotto entra una iper-riduzione di Marsala, che sviluppa acidità raffinata e profonda, e stempera la ferrosità della milza.
Perché mangiare da Manna?
Semplicemente perché non dovrebbe esistere niente al di sotto di Manna. A Milano ci sono tanti ristoranti con velleità gastronomiche, e mi stupisco sempre quando la gente mi dice “ah come si mangia bene qui!”. Non dovreste stupirvi: questo è il limite della sufficienza. Dovreste meravigliarvi, semmai, quando mangiate male altrove.
La stampa ha definito “difficile” la tua cucina. Tu cosa dici?
Dico che se la mia cucina è difficile, allora il tuo palato è scarso. La mia cucina può essere complessa, in quanto lavoriamo sulla stratificazione del gusto per dare profondità. Ma diventa comprensibile se riesci a leggere più livelli nei miei piatti: nel risotto con la milza, ad esempio, percepisci prima il caciocavallo caldo e sapido, poi la milza, infine il marsala. Chiaro, se ti fa schifo la milza, non puoi capire … ma neanche giudicare. Non tutto è “difficile” da Manna: in carta ho anche risotto allo zafferano, pasta al pomodoro, tarte tatin (omaggio personale al mio primo mentore). L’unico percorso a ostacoli può essere il menu “Porcherie”: se non hai un palato curioso, dici solo “che schifo”.

Cosa sarebbe la tua voglia di errori in cucina?
Per errori intendo cose che non andrebbero fatte secondo i canoni convenzionali: dosaggio, abbinamento, utilizzo degli ingredienti. Un esempio? La tartare di cuore crudo. Prima di me nessuno lo faceva. Il conformista dice: se non c’è, allora è sbagliato. Invece io sperimento.
Com’è la tua idea di vitello tonnato?
Era nel menu estivo ed è un piatto rappresentativo dell’idea di cucina di Manna disruptive. Il vitello tonnato è un pezzo di carne tenera poco saporita, ricoperto da una salsa “mostruosa”. Sia nella versione classica (grigia) sia nella versione moderna (rosa), si privilegia il morso rispetto al gusto della carne e si ricorre a una salsa imponente per aumentare la piacevolezza del gusto. Bella idea! Ma secondo me si può fare di meglio, ovvero qualcosa di diverso. Scelgo la punta di petto di vitello (brisket) ricca di collagene grasso, che vado a marinare e cuocere intera arrosto per tanto tempo, in modo da ottenere una carne umida e succulenta; arrostisco una fetta in padella per renderla croccante e la servo con poca salsa tonnata. Il mio vitello tonnato dà più peso alla carne, è di maggiore impatto, ma non è confrontabile con quello della tradizione.
Il nuovo menu autunnale di Manna?
La carta di Manna resta libera, con una dozzina di piatti stagionali. Cavolfiore arrosto, liquirizia, acciughe, uvetta, dragoncello. Triglia, porcini e guanciale vecchio. Tagliatelle con ragù di cortile e timo. Riso con mortadella di milza, Marsala, caciocavallo. Anatra, funghi e fegato grasso.
Due proposte degustazione: “Sedici” con piatti evergreen e “L’Altro” con creazioni più ardite. Infine, il mio divertissement “Porcherie”, un girone di otto portate con i pezzi forti della mia cucina - battuta di cuore di bue, nocciole, senape, erba ostrica e il rognone con ricci, gin e prezzemolo. E’ una proposta per stomaci forti e palati curiosi che vogliono assaggiare il frutto dei miei errori voluti. Siamo punk, ma non troppo.
In che senso possiamo definire Manna disruptive?
Se parliamo del servizio, qui è abolita la liturgia del cerimoniale previsto in un ristorante come il nostro. L’elemento umano è forte e immediato nel rapporto con il cliente. A livello di approccio in cucina, rifuggo sistemi precostituiti o regoline. Io faccio il fondo di maiale (non di vitello) anche se Monsieur Ducasse non vuole.
Perché il tuo ristorante si trova a Turro?
Per sbaglio. Ho cercato per due anni un locale a Milano, ma i prezzi erano folli. Alla fine, grazie a uno zio, ho trovato questo spazio a Turro: si adatta al mio background umano (born in Gorla) e alla vicinanza con casa mia. Siamo nella periferia di Milano, quindi abbiamo sviluppato l’identità del locale in base al luogo. A realizzare le mie idee è stato l’amico architetto Alberto Barbieri (Studio BDA, Milano) ottenendo una cucina più grande, due sale spaziose, un piccolo bar all’ingresso con bottigliera che richiama la facciata di Sant’Ambrogio.

Con il mio budget, sono riuscito rendere Manna più comodo per i miei ospiti e per il personale. Stare larghi senza perdere quella sensazione di intimità a tavola, resa bene dalla nuova illuminazione soffusa. Turro ci sta. Faccio gastronomia di periferia, perché sono in una zona periferica e offro prezzi umani.
Quanta pazienza hai con intolleranze e richieste particolari?
Fa tutto parte del mio lavoro. Accontento i clienti, senza smontare un piatto, proponendo una valida alternativa. Anche per i vegani.
Chi stimi nel mondo della cucina?
Riccardo Camanini. Ho lavorato con lui a Villa Fiordaliso, Gardone Riviera. E’ stato un periodo molto formativo: Riccardo ha impostato la mia forma mentis e mi ha comunicato l’impellente urgenza di disciplina, prima di tutto verso sé stessi. È un principio che tuttora applico e cerco di trasmettere alla mia squadra, ma senza imposizioni perché non funzionerebbe.
I valori di ieri e di oggi nelle brigate di cucina?
Per me la disciplina è fondamentale, ma so bene di non poter pretendere dagli altri quello che pretendo da me stesso. Ho un vantaggio: ho vissuto i tempi della vecchia scuola in cucina e ora sono io a gestire la baracca. So di dover giustamente mediare, tenendo conto delle moderne esigenze di vita lavorativa di un cuoco. Ma non rimpiango nulla dei vecchi tempi, perché mi sono divertito molto (nonostante orari massacranti) e ho ricevuto in cambio un prezioso bagaglio di conoscenze e di competenze tecniche, che alla fine mi hanno portato a questa esperienza imprenditoriale.
Non mi ritengo un mentore, bensì un bottegaio che fa girare la bottega. La mia funzione è quella di rompere c*****ni: elegantemente lo chiamiamo sistema di controllo qualità.
Cosa manca ai giornalisti/critici gastronomici di oggi?
Partiamo dal presupposto che capire Matteo Fronduti non è facile, perché non incasellabile in un’etichetta. Ergo serve uno sforzo in più per comprendere. Oggi mancano consapevolezza e quel tipo di intelligenza intesa come la capacità di relazionarsi con le persone in maniera opportuna nello spazio e nel tempo. Se tu giornalista vieni da Manna, scegli il menu “Porcherie” e racconti solo la tua esperienza, ti sei dimenticato totalmente del contesto. Riduci un organismo complesso come Manna a una singola narrazione.
In pillole
Ritratto dal cuore punk. Matteo Fronduti, cuoco e patron di Manna a Milano, racconta la sua cucina schietta e ragionata: niente effetti speciali, solo sostanza e morsi di goduria. Tra ironia, concretezza e identità, difende un’idea di gusto senza compromessi.